Quando si decide di affittare una casa è bene sapere che esistono diversi tipi di contratti di locazione, ognuno dei quali presenta contenuti e agevolazioni e/o limitazioni differenti.

Prima di analizzare le varie forme contrattuali consentite, può essere utile spiegare brevemente la definizione di questo tipo di accordo:

il contratto di locazione immobiliare (anche detto contratto di affitto) è il contratto con il quale una parte, il locatore (generalmente il proprietario), concede per un determinato periodo in godimento (uso) a un’altra parte, il conduttore o locatario (comunemente detto inquilino), un bene immobile, a fronte dell’impegno di quest’ultimo (conduttore) di versare periodicamente un corrispettivo, detto canone e a restituire la cosa locata nello stesso stato in cui l’ha ricevuta e secondo gli accordi fissati in contratto.

I contratti d’affitto, devono indicare, indipendentemente dalla tipologia:

  • i nominativi delle parti (locatore e conduttore);
  • la durata del contratto;
  • l’identificazione del bene (immobile) e per quale uso viene concesso in locazione;
  • il prezzo del canone e le eventuali modalità di aggiornamento;
  • le modalità di pagamento del canone;
  • la determinazione del deposito cauzionale;

La principale normativa cui fare riferimento è costituita dal Codice Civile agli articoli 1571 e seguenti, dalla Legge n. 392/1978, dalla Legge n. 431/1998, dal D.Lgs. n. 79/2011, nonché dal recentissimo D.M. 16/1/2017.
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Quali sono le tipologie di contratto di locazione ad uso abitativo?

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Le principali forme contrattuali disciplinate dal nostro ordinamento sono:

  • il contratto a canone libero,  con una durata minima di 4 anni rinnovabili per altri 4 anni in automatico, in cui le parti (proprietario e inquilino) stabiliscono liberamente il canone di locazione;
  • il contratto a canone concordato (o convenzionato), il cui corrispettivo è stabilito sulla base degli accordi territoriali stipulati tra le organizzazioni degli inquilini e quelle dei proprietari. Questi tipi di contratti posso avere una durata differente a seconda della finalità della locazione:
  1. per uso abitativo, la durata minima del contratto è di 3 anni rinnovabili di diritto per altri 2;
  2. per uso transitorio (contratto transitorio) – la durata non può essere superiore a 18 mesi, in quanto risponde a particolari necessità dell’inquilino o del proprietario e non è rinnovabile allo scadere del periodo; il canone è “vincolato” (ovvero non può essere determinato liberamente tra le parti) solo se il contratto ha ad oggetto un immobile sito in un Comune con più di diecimila abitanti;
  3. per uso transitorio a studenti universitari – la durata del contratto può variare dai 6 ai 36 mesi, rinnovabile, e viene concesso ad uno studente fuori sede, che si trova a studiare presso un’università situata dove è ubicato l’immobile;
  • le c.d. locazioni brevi – stipulate per soddisfare esigenze abitative transitorie (generalmente per finalità turistiche), sono soggette a un particolare regime fiscale se la loro durata è inferiore a 30 giorni; inoltre sono previsti alcuni obblighi di natura fiscale a carico degli intermediari che intervengono nella stipula di questi contratti o nella riscossione del canone di locazione.

Come già precisato all’inizio dell’articolo, le citate tipologie di contratto, oltre ad avere una durata differente, presentano dei contenuti e degli aspetti, anche di natura fiscale che, a seconda della forma scelta, possono procurare vantaggi a una o all’altra parte, oppure ad entrambe.

Così ad esempio nel contratto a canone concordato o di natura transitoria, il canone di locazione può essere definito entro il tetto massimo stabilito dagli accordi territoriali tra le organizzazioni della proprietà e degli inquilini, mentre nel contratto a canone libero il locatore non ha particolari limitazioni.

Per contro, in considerazione anche del fatto che il canone è generalmente inferiore rispetto ai contratti “liberi”, ai contratti con canone concordato o di natura transitoria vengono riconosciuti degli “sconti” di natura fiscale ad entrambe le parti.

Cerchiamo allora di comprendere meglio gli aspetti di quest’ultima tipologia di contratto , rinviando ad un altro approfondimento le agevolazioni fiscali riconosciute.
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Cosa significa canone concordato?

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Si tratta di un contratto-tipo definito sulla base di accordi locali negoziati tra le organizzazioni della proprietà (es. UPPI) e degli inquilini (es. SUNIA).

Questi accordi sono coordinati a livello nazionale da una convenzione quadro, che stabilisce un valore minimo e massimo del canone, in base ad una serie di parametri tra i quali la tipologia, lo stato di manutenzione dell’alloggio, gli spazi comuni, ecc.

Possono essere individuati canoni differenziati per zone omogenee del territorio comunale.

Le parti determinano il canone all’interno di tali valori.

Attualmente, la convenzione nazionale più recente è contenuta nel Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 16 gennaio 2017 (che ha sostituito il previgente D.M. 30 dicembre 2002), con il quale è stato approvato anche il modello di contratto (c.d. “contratto-tipo”), unico per tutta Italia, da utilizzare per la stipula dei contratti in esame.
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Comuni con o senza accordo di canone concordato

L’accordo locale per i contratti a canone concordato e il contratto tipo sono generalmente reperibili sul sito del Comune di ubicazione dell’immobile.

Tuttavia può capitare che il Comune dell’abitazione oggetto di locazione non abbia siglato alcun accordo.

Come fare allora in questi casi?

La normativa consente di stipulare i contratti agevolati anche nei centri in cui non è stato siglato un accordo tra inquilini e proprietari (anche se non rientranti tra quelli ad alta densità abitativa): basta prendere a riferimento l’accordo di un Comune vicino e omogeneo per popolazione oppure, in mancanza, i valori di riferimento per il calcolo del canone sono dettati dal DM 14/7/2004.
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Quando è necessaria l’assistenza delle associazioni di categoria?

Normalmente il contribuente si fa assistere dalle organizzazioni territoriali di categoria per la stipula dei contratti concordati: in tal caso in questi contratti “assistiti” compare la sottoscrizione anche dell’associazione.

Tuttavia la norma non prevede l’obbligo di assistenza e pertanto è possibile stipulare contratti concordati “non assistiti”, senza cioè l’assistenza e la sottoscrizione dell’associazione di categoria, gestiti in autonomia dal contribuente, purché rispettino tutti i criteri fissati a livello locale tra le principali organizzazioni (associazioni) di categoria.

Occorre prestare attenzione per i contratti stipulati dal 31/3/2017, qualora risultino stipulati accordi territoriali con il recepimento delle nuove disposizioni: in tal caso è necessario acquisire un’apposita attestazione di conformità (da parte di una delle organizzazioni di categoria firmatarie dell’accordo locale) ai fini del riconoscimento delle agevolazioni fiscali legate a questa tipologica di contratto.

Si precisa che in sede di registrazione non è obbligatorio ma è consigliabile, allegare al contratto anche la suddetta attestazione (per la quale è stato chiarito che non è dovuta l’imposta di registro).
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